Artemidoro di Efeso, il più grande geografo di età ellenistica, resta un personaggio enigmatico. La sua vastissima opera in ben undici libri è andata perduta, ma le sue tracce sopravvivono, e vanno interrogate. Dalla difficile missione diplomatica a Roma al lungo viaggio a Occidente, oltre le Colonne d’Ercole, al ritorno a Oriente: fino alla costa etiopica, ai margini di un mondo nel quale verità e leggenda si mescolano e abbagliano. La dolorosa perdita della prima descrizione del mondo dovuta a questo antico, infaticabile viaggiatore può essere risarcita dallo sconcertante papiro emerso dalle nebbie una quindicina d’anni fa e attribuito in tutta fretta ad Artemidoro?L'inchiesta ricompone i pezzi del puzzle e approda in ambienti politico-intellettuali europei dell’Ottocento, al centro dei quali si muove, con inquietante disinvoltura, il greco Simonidis, uno dei più grandi falsari del suo tempo. “Ritrovare” l’autore che non c’è più, riempire un vuoto, è la spinta principale alla creazione del “falso”. E fu il secolo XIX, nel campo dei manoscritti, il secolo dei falsi così come il XX lo fu per le opere d’arte. Le stesse, benemerite, raccolte di frammenti di autori perduti erano, in tal senso, quanto mai suggestive. Ci fu chi si diede a occasionali cimenti e chi invece lo fece con metodo e per “mestiere”. E ci fu uno che volle riportare in vita i geografi greci che non c’erano più. Artemidoro parve, a quel virtuoso, cui è dedicata la seconda parte di questo libro, un terreno su cui edificare e un modello in cui rispecchiarsi. Egli incominciò presto a frequentarlo immettendo frammenti noti di lui nelle proprie opere. Poi un disegno maggiore prese corpo. E nel fare un Artemidoro egli ricorse ai manoscritti principali dei geografi, di cui era avido cercatore. Da quei manoscritti mutuò persino i simboli che immise nel suo. Alcuni (il Vatopedi 655 del Monte Athos) li aveva anche materialmente saccheggiati. Perché lo fece? Per porsi nel solco di una tradizione erudita e patriottica della Grecia “oppressa”? Per emulare figure del secolo precedente quali Meletios o Niceforo Theotokis? Per colmare, con uno stravagante para-Artemidoro, un vuoto nella raccolta (canonica per i greci) degli Zosimadai (Vienna 1807) modellata su quella, insuperata, di John Hudson (Oxford 1698), dove per l’appunto il maggiore geografo ellenistico ovviamente mancava?

Il viaggio di Artemidoro / Canfora, L. - (2010), p. 350.

Il viaggio di Artemidoro

CANFORA L
2010-01-01

Abstract

Artemidoro di Efeso, il più grande geografo di età ellenistica, resta un personaggio enigmatico. La sua vastissima opera in ben undici libri è andata perduta, ma le sue tracce sopravvivono, e vanno interrogate. Dalla difficile missione diplomatica a Roma al lungo viaggio a Occidente, oltre le Colonne d’Ercole, al ritorno a Oriente: fino alla costa etiopica, ai margini di un mondo nel quale verità e leggenda si mescolano e abbagliano. La dolorosa perdita della prima descrizione del mondo dovuta a questo antico, infaticabile viaggiatore può essere risarcita dallo sconcertante papiro emerso dalle nebbie una quindicina d’anni fa e attribuito in tutta fretta ad Artemidoro?L'inchiesta ricompone i pezzi del puzzle e approda in ambienti politico-intellettuali europei dell’Ottocento, al centro dei quali si muove, con inquietante disinvoltura, il greco Simonidis, uno dei più grandi falsari del suo tempo. “Ritrovare” l’autore che non c’è più, riempire un vuoto, è la spinta principale alla creazione del “falso”. E fu il secolo XIX, nel campo dei manoscritti, il secolo dei falsi così come il XX lo fu per le opere d’arte. Le stesse, benemerite, raccolte di frammenti di autori perduti erano, in tal senso, quanto mai suggestive. Ci fu chi si diede a occasionali cimenti e chi invece lo fece con metodo e per “mestiere”. E ci fu uno che volle riportare in vita i geografi greci che non c’erano più. Artemidoro parve, a quel virtuoso, cui è dedicata la seconda parte di questo libro, un terreno su cui edificare e un modello in cui rispecchiarsi. Egli incominciò presto a frequentarlo immettendo frammenti noti di lui nelle proprie opere. Poi un disegno maggiore prese corpo. E nel fare un Artemidoro egli ricorse ai manoscritti principali dei geografi, di cui era avido cercatore. Da quei manoscritti mutuò persino i simboli che immise nel suo. Alcuni (il Vatopedi 655 del Monte Athos) li aveva anche materialmente saccheggiati. Perché lo fece? Per porsi nel solco di una tradizione erudita e patriottica della Grecia “oppressa”? Per emulare figure del secolo precedente quali Meletios o Niceforo Theotokis? Per colmare, con uno stravagante para-Artemidoro, un vuoto nella raccolta (canonica per i greci) degli Zosimadai (Vienna 1807) modellata su quella, insuperata, di John Hudson (Oxford 1698), dove per l’appunto il maggiore geografo ellenistico ovviamente mancava?
2010
8817038334
Artemidoro; Papiro; Simonidis
Il viaggio di Artemidoro / Canfora, L. - (2010), p. 350.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14089/1164
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